Nuova BEIC: una biblioteca dal futuro

Nel 1996 nasce l’Associazione “Milano Biblioteca del 2000” con lo scopo di promuovere la costruzione della Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. Fra le tante voci che nel corso degli anni hanno parlato a favore di questo progetto c’è quella dello scrittore e saggista Claudio Magris: “Si tratta di un’iniziativa a mio avviso molto rilevante, ossia di una Biblioteca Europea a grande struttura multimediale, che dovrà unire libri e supporti digitali, il tutto a libero accesso e a scaffale aperto, offrendo così un formidabile, totale strumento di informazione, di formazione, di preparazione culturale e dunque, nel senso più ampio, civile. Strutture di questo genere esistono a Parigi, New York, San Francisco e Monaco di Baviera, dove hanno avuto ed hanno pieno successo di pubblico, mentre in Italia una grande biblioteca di questo tipo non c’è». Nel 2026, finalmente, ci sarà. In seduta pubblica del giorno 11 luglio 2022 infatti è stato proclamato il vincitore del Concorso di progettazione indetto dal Comune di Milano, individuato nel raggruppamento italiano formato, fra gli altri, dai progettisti di Onsitestudio e formato, fra gli altri, da Baukuh, dot dot dot, Abnormal, Luca Gallizioli e Yellow Office. «Siamo un team di architetti molto ampio e il risultato dei nostri progetti nasce sempre da un lavoro corale – ci tiene a precisare l’Alumnus Angelo Lunati, cofondatore di Onsistestudio insieme all’Alumnus Giancarlo Floridi  – in questo caso specifico, il team è allargato anche a competenze che coinvolgono esperti del mondo digitale e del cambiamento climatico, e che costruiscono i pilastri dell’idea del progetto: una biblioteca nuova, che sia in grado di essere una piattaforma flessibile, sempre rinnovabile».  

Cosa si intende per “biblioteca nuova”? 

Un luogo dell’arcaico e del futuribile. Una biblioteca che sia in grado di far coesistere la dimensione del libro e dell’universo dei documenti, quindi dove regna un’idea di public library ottocentesca dove i saperi di secoli si depositano, e la dimensione del digitale e della produzione di cultura contemporanea, in cui i saperi dunque si creano. L’edificio, composto da due navate a forma trapezoidale, comunicherà immediatamente l’immagine di un posto laborioso, produttivo, grazie all’archetipo di riferimento che nella forma rievocherà le grandi coperture delle fabbriche di una volta. Al contempo avrà in sé la modernità di una serra, in dialogo con il parco in cui si inserirà l’edificio, che è quello dell’ex scalo ferroviario di Porta Vittoria. Un edificio monumentale, spettacolare nelle dimensioni, sarà alto 35 metri, e al contempo con una sua normalità data dai piani della biblioteca, che si replicano in verticale con una pianta molto semplice. 

Quasi fosse un libro, proviamo ad aprire questa biblioteca e ad entrarci: cosa ci si svelerà? 

Innanzitutto il piano terra dell’edificio sarà un grande spazio civico aperto, pensato come un esterno, cioè non sarà climatizzato; l’idea è che la biblioteca abbia parti condizionate, alternate ad altre che funzionino come una grande serra. La navata sud ospiterà i dipartimenti: da arti e letterature a scienze umane e sociali, fino a scienze e tecnologie. In cima, una terrazza con sala lettura. La navata nord invece sarà quella più fruibile e aperta alla possibilità di ospitare delle funzioni legate alla trasmissione di cultura, quindi un piano dedicato ad un fab lab e uno al coworking, per andare a salire con una sala gaming e studio di registrazione sino ad uno spazio espositivo con la possibilità di accedere, e usufruire, di una stazione radiofonica. Spazi insomma per la produzione, dotati di dispositivi di avvicinamento a mondi non accessibili a tutti. Una grande piattaforma collegherà questi due corpi: i mondi si uniranno infatti al secondo piano attraverso un ponte tra dimensione tradizionale e dimensione innovativa. 

Dato che siamo in un campo anche letterario, questo ponte che significato assume? 

Può rappresentare un’analogia, un ponte di avvicinamento alla cultura poiché vi è un sistema di scale che permette di accedere ai vari piani e al contempo di vederli in linea verticale. Dunque attraversando questo ponte si avrà una percezione sinottica dell’ampiezza culturale e della trasmissione delle conoscenza, quasi una passeggiata visionaria che permetterà di andare anche nel profondo: la pavimentazione  del piano terra infatti avrà una serie di oblò attraverso cui accedere con lo sguardo al deposito interrato che conterrà 2,5 milioni e mezzo di libri. Un archivio percorso da piccoli robot che si muoveranno a prendere libri e a distribuirli grazie a sistemi meccanizzati ai diversi piani; e che alimentando queste due navate mostrerà anche la dimensione del patrimonio dei documenti, che nella maggior parte delle biblioteche non è esposto, o completamente esposto. Alla Beic invece sarà visibile, anche dal foyer dell’Auditorium. 

Dove sarà collocato l’Auditorium? 

In un terzo padiglione che abbiamo chiamato Imaginarium, e che sarà la biblioteca per i bambini. L’abbiamo immaginato con un’architettura molto diversa rispetto alla grande struttura principale: un edificio rosso, costruito interamente in legno, quindi con un carattere più accogliente, da un certo punto di vista anche più domestico e con spazi molto grandi e flessibili. L’auditorium, che si troverà sottostante all’Imaginarium, avrà 300 posti e un suo programma di spettacoli ed eventi. Sempre in questa stessa struttura, vi sarà una sala accessibile dall’esterno 24 ore su 24, per trovare sempre un luogo dove studiare e confrontarsi con i contenuti della biblioteca. Ricordo che da studente, quando dovevo preparare gli esami, cercavo sempre un posto in cui studiare e per ripararmi andavo nelle biblioteche che chiudevano il più tardi possibile.  

Quali sono due libri che ritiene siano stati fondamentali per la sua formazione? 

Il primo è Esperienza dell’architettura di Ernesto Nathan Rogers, un libro che ha condensato in maniera significativa, attraverso la raccolta di testi elaborati durante una lunga traiettoria e frutto spesso di un racconto personale, le preoccupazioni e le ambizioni di un architetto intellettuale in un periodo decisivo per la cultura italiana, indicando un’idea straordinaria di modernità, a mio avviso ancora valida nella così distante condizione contemporanea. Il secondo libro, Unconscious Places, una raccolta di fotografie di Thomas Struth, accompagnate da un testo di Richard Sennett, che ritraggono luoghi ordinari di alcune città come Dusseldorf, Napoli, New York, nei quali emerge in maniera straordinaria la tensione che esiste tra la singolarità degli edifici e la loro condizione di sfondo, il carattere additivo e trasformativo dei luoghi urbani, la loro sorprendente unità fisica. 

L’insegnamento più rilevante che le ha dato il Politecnico di Milano? 

Intendere il progetto come una virtuosa combinazione tra dimensione sperimentale ed empirica insieme con la ricerca di forme di continuità culturale; questo insegnamento risuona con lo spirito che per molto tempo ha promosso la modernizzazione della città di Milano, caratterizzata da un’idea antidogmatica di progresso “radicata” nella cultura del luogo. 

Perché dovrei consumare prodotti fatti con farina di grillo? 

Majno ha 35 anni e vive a Torino, Imparato ne ha 34 anni e vive a Milano. Entrambi sono originari del capoluogo lombardo. 

L’azienda si chiama Small Giants, piccoli giganti. Majno è anche un ex studente del politecnico, dove ha conseguito la laurea triennale e quella specialistica in design della comunicazione

La startup è nata nel 2017 dall’idea dei due amici. La scelta partire dall’Inghilterra è stata di natura normativa: lì c’era una regolamentazione per il cibo creato con farina di insetti, mentre in Europa ancora no, sarebbe arrivata dopo. Adesso le cose si sono un po’ ribaltate, come vedremo più avanti. 

Il lancio del brand Small Giants e del primo prodotto risale invece a novembre 2020. Nel 2023 la società è stata spostata in Italia, a Milano. Il trasferimento è stato totale, cioè sia a livello legale che di produzione e logistica. Anche il mercato di riferimento è l’Italia. 

Small Giants al momento propone tre prodotti (cracker, fette biscottate e easy mix) e ha un fatturato stimato di 300mila euro

Abbiamo intervista Majno che ha chiarito tanti aspetti di questa azienda innovativa (“innovativa per l’Europa”, direbbe lui). 

Francesco Majno ed Edoardo Imparato

Com’è nato questo progetto? 

“Più che dai nostri studi universitari è nato da un nostro interesse. Io ed Edoardo siamo amici di lunga data. Ci interroghiamo da sempre sulla sostenibilità legata all’alimentazione, entrambi non consumiamo carne, per aspetti sia di sostenibilità che etici. Cerchiamo delle fonti di proteine alternative. Di conseguenza ci eravamo appassionati su questo tema delle farine di insetti, abbiamo letto un documento della Fao che è stato il faro, per noi e per molti. Lì venivano spiegati vari aspetti tra cui che diverse specie di insetti vengono consumati da tempo in diverse parti del mondo”  

Quali sono le caratteristiche del cibo fatto con farina di insetti? 

“Dal punto di vista ambientale che nutrizionale sono eccezionali. Sono super food, come i grilli per esempio, hanno un altissimo contenuto di proteine, fino all’80%. E dal punto di vista ambientale hanno una richiesta di acqua, terra, mangime o emissioni di gas serra limitatissime, se confrontate alle proteine animali tradizionali, come la carne rossa” 

Insomma, avete deciso di provarci… 

“Sì, dopo aver letto e studiato tutto questo ne siamo rimasti affascinati e ci siamo chiesti: com’è possibile che esista questo super food e nessuno in Europa lo considera anzi, ne sono disgustati?” 

E qual è stata la vostra scelta per iniziare a produrre questo cibo? 

“Abbiamo deciso di usare una farina, che è più familiare, con cui ci si possono fare vari prodotti, cercando di dargli una forma tradizionale e più appetibile per noi consumatori occidentali” 

Se doveste individuare una filosofia alla base di Small Giants? 

“Cercare di portare gli insetti come proteine sostenibili nella dieta di noi occidentali, e non farlo come stravaganza esotica ma come cibo della quotidianità” 

Ma con quali prodotti? 

“Fette biscottate, snack, cracker e ora abbiamo lanciato un nuovo prodotto, un preparato per fare burger, polpette, falafel e che è direttamente sostituibile alle cose fatte con la carne” 

Avete degli allevamenti di insetti qui in Italia? 

“No, e non credo lo faremo mai. C’è proprio chi si occupa di farlo, sono anche molto complessi da gestire. Noi acquistiamo le farine, come quella del grillo comune o quella delle larve di coleottero che usiamo per fare le fette biscottate. Abbiamo due allevatori-fornitori diversi. Sono tra i pochi ad avere l’autorizzazione UE per commerciare queste farine” 

Questi due allevatori dove si trovano? 

“Uno nei Paesi Bassi, quello che ci fornisce la farina di larve di coleottero e l’altro in Vietnam, farina di insetti. Nei Paesi tropicali è ideale il clima per gli insetti, perché sono animali a sangue freddo” 

Incontrate più problemi a livello burocratico-legislativo o resistenza culturale delle persone a questi cibi? 

“Principalmente a livello burocratico-legislativo. Come ad esempio il fatto di dover essere partiti dal Regno Unito. Siamo fortemente vincolati e, giustamente secondo me, controllati. Anche dal punto di vista sanitario e igienico è vasto. Questo è il primo problema, è un prodotto che rimarrà per un certo periodo di nicchia, perché si devono comunicare troppe cose, perché la prima risposta che ti dà una persona media è “perché dovrei consumare prodotti fatti con farina di grillo?”. Però chi è avvezzo a sperimentare è una bella cosa e ci si lancia, ma molte persone sono più restie, perché gli insetti non hanno questa associazione al cibo” 

Precisamente quanti prodotti producete e sono sul mercato? 

“Al momento tre. Dei cracker con una percentuale di farina di grillo. Sono dei cracker che hanno 3 volte il contenuto di proteine di qualsiasi altro tipo di cracker tradizionale. Hanno anche un alto contenuto di vitamina B12 e hanno altri micronutrienti. Se ne mangi un pacchetto da 40 grammi, stai mangiando 10 grammi di proteine. Poi ci sono le fette biscottate e l’easy mix, che è il preparato per fare i burger” 

C’è qualche curiosità che vuoi dirci? 

“Beh per esempio che noi già consumiamo mezzo chilo di insetti all’anno, inconsapevolmente. È impossibile separare gli insetti dove ci sono le coltivazioni, come i pomodori, insalata, spighe di grano, tutti hanno una componente. La legge italiana consente quelle che chiamano “contaminazioni di insetti”. Quindi ognuno di noi già mangia insetti” 

Parlaci del passaggio dal Regno Unito all’Italia, come è successo e perché? 

“Ci sono varie ragioni. Fino a che non è stata attivata Brexit noi vendevamo i prodotti in una catena molto famosa, la seconda più importante del Paese. Poi con queste nuove normative, di fatto, sono tornati indietro su queste produzioni. Noi da subito avremmo preferito stare in Italia, ma per necessità siamo partiti da dove si poteva fare” 

E nei supermercati italiani si trovano i vostri prodotti? 

“Non ancora. Stiamo parlando con dei supermercati, ma essendo le normative recenti e i tempi dei supermercati lunghi ancora non ci siamo riusciti. L’interesse c’è, è ipotizzabile che da settembre o giù di lì potremo trovare prodotti Small Giants” 

Come vendete allora? 

“In Italia sul sito o altri distributori, che però non corrispondono con la Grande distribuzione organizzata. In Polonia ad esempio siamo in Ochan, supermercato molto importante e poi dovremmo entrare a breve in un altro” 

Quante persone lavorano in Small Giants? E qual è il fatturato? 

“Full time ci sono tre persone, poi ci sono una serie di collaboratori e consulenti. Il fatturato per quest’anno dovrebbe essere intorno ai 300mila euro” 

Come ha influito il tuo percorso di studio al Politecnico sul tuo percorso lavorativo? 

“In Small Giants il mio percorso di studi in design della comunicazione mi è servito molto. Per esempio per dare identità al brand. E sicuramente ha avuto ricadute positive sul parziale successo, per adesso, del nostro brand” 

Il nome Small Giants è molto carino… 

“L’abbiamo scelto dopo un rebranding con un’agenzia di comunicazione londinese” 

Abbiamo finito, c’è qualcosa che vuoi aggiungere? 

“Vorrei dire questo: dal 21 giugno abbiamo lanciato una campagna di equity crowdfunding, in sostanza vendiamo una parte di società a investitori. Contribuzione minima per entrare 250 euro (tutte le info sono qui)” 

Competizione SCORE

Grande soddisfazione per gli studenti del Polimi nell’ultima competizione SCORE (Student Contest on Software Engineering) la cui finale si è disputata a maggio a Melbourne, in Australia. 

  Quattro i gruppi di studenti ammessi alla finale, tutti e quattro avevano al loro interno studenti del Polimi. 

COME FUNZIONA 

“All’interno del corso Distributed software development che è un corso della laurea magistrale di Computer sciences – ha spiegato la professoressa Raffaella Mirandola – vengono fatti dei progetti. Questo corso è strutturato in collaborazione tra tre università: Politecnico di Milano, Università di Zagabria e Università di Malardalen (Svezia)”. 

Ancora la prof. Mirandola: “Ci sono delle lezioni, poche, e poi i ragazzi lavorano ad un progetto. I gruppi di persone che lavorano a un progetto sono misti,  scelti  cioè tra due università: o Poli-Zagabria, o Poli-Malardalen o Malardalen-Zagabria. Questo progetto viene fatto scegliendo tra quelli proposti dalla competizione internazionale Score. In questa competizione gli sponsor propongono argomenti per dei progetti e una commissione seleziona quelli più adeguati”. 

I PROGETTI DEL POLIMI

Il progetto del gruppo di Lorenzo Poletti è risultato vincitore. La richiesta prevedeva lo sviluppo di un progetto che rendesse sicura una fase della creazione di una app: “Per questo abbiamo creato una piattaforma web che permette agli utenti-sviluppatori di caricare il proprio codice sorgente. In automatico, attraverso dei tool che supportano linguaggi vari e aspetti di sicurezza, viene analizzato il codice e vengono messe in evidenza eventuali criticità e vulnerabilità del codice sorgente. Il nostro tool è per sviluppatori, non per l’utente finale”. 

Per fare un esempio: durante lo sviluppo di una App, prendiamo ad esempio Shazam, quella che riconosce titoli e autori delle canzoni che si stanno ascoltando, gli sviluppatori potrebbero utilizzare il tool del gruppo di Lorenzo per verificare che il codice che stanno creando è sicuro e non ha criticità o vulnerabilità. 

Il progetto di Matteo Visotto è arrivato in finale ed è stato molto apprezzato, seppur non abbia vinto. 

È forse più facile da comprendere per chi non è pratico della materia: “Ci siamo focalizzati su paper scientifici, cioè sul lavoro su documenti rivolti a dottorandi, studenti o docenti. Abbiamo modificato il lettore PDF di Mozilla (che è un’implementazione basata su una web app gratuita e modificabile) e ne abbiamo ridisegnato l’interfaccia. Pensando alle classiche attività che fa chi legge dei paper abbiamo creato un grafico che crea le citazioni all’interno del paper e un tool che genera automaticamente il riassunto del PDF. Abbiamo deciso di implementare  l’algoritmo di sintesi così che un utente possa selezionare un paragrafo o un  capitolo e avere subito il riassunto. È venuto piuttosto bene, devo dire”.  

“I vari gruppi di studenti che partecipano – ha aggiunto la prof. Mirandola – sono composti da studenti di livello master, noi partecipiamo con studenti che sono di due università diverse. Gli studenti selezionano uno dei progetti proposti, poi nel corso svolgono il progetto. Il corso ha gli stessi tempi della competizione, che è biennale”. 

La selezione dei semifinalisti viene fatta attraverso la presentazione di un documento PDF in cui viene spiegato come è stato svolto il loro lavoro per realizzare il progetto. Matteo Visotto: “Nel PDF viene spiegato come viene fatto il progetto, ma più che a livello di codice è chiarito il metodo di lavoro di gruppo, l’organizzazione e la suddivisione degli incarichi”. 

La commissione che organizza SCORE seleziona poi i semifinalisti. I gruppi ammessi, a questo punto,  devono inviare il codice che hanno creato per sviluppare il progetto.  

Riassumendo: nella prima fase viene inviato il documento di lavoro e come si sono organizzati i componenti. I semifinalisti devono presentare il codice. 

Nel 2023 sono stati scelti per la semifinale nove progetti,  sei dei quali del Polimi.  

I quattro gruppi finalisti hanno partecipato alla finale, che si tiene all’interno di una settimana di eventi, workshop e conferenze. Come detto nel 2023 è stata in Australia, a Melbourne. Nel 2025 sarà in Canada.  

Score ha finanziato in parte il viaggio degli studenti, l’altra parte è stata finanziata dal Polimi. 

“Abbiamo partecipato alla conferenza – ha spiegato ancora Lorenzo Poletti –, workshop e incontri interessanti con esperti del settore. La maggior parte del tempo abbiamo partecipato a questi eventi. La finale è stata giovedì e abbiamo presentato i nostri progetti.  Tempo a testa: 10 minuti. Spiegazione, live demo e domande della giuria. Il venerdì c’è stata la premiazione e il mio team ha vinto. Tutti e quattro i progetti e i prodotti erano buoni e ce la siamo giocata nella presentazione. È stata  un’ottima opportunità  per conoscere persone del settore”. 

QS University Ranking, il Politecnico di Milano raggiunge il miglior risultato di sempre 

Milano, 28 giugno 2023 – Il Politecnico di Milano raggiunge la sua posizione più alta di sempre nel QS World University Ranking. L’ateneo si classifica quest’anno al 123º posto su un totale di 1500 università globali, registrando un notevole miglioramento di 16 posizioni rispetto all’anno scorso. Continua dunque la scalata del più importante ranking universitario del mondo. Per la prima volta il Politecnico di Milano entra nel top 9% delle università di eccellenza globali. 

Un risultato reso possibile grazie a importanti fattori, che hanno contribuito al raggiungimento di questa posizione. Il Politecnico di Milano si posiziona tra le prime 100 università al mondo per reputazione accademica e aziendale. L’ateneo ha ottenuto, infatti, un miglioramento nel punteggio dell’Academic Reputation, passando dalla 96° alla 94° posizione.  

Anche gli indicatori di internazionalizzazione, come il numero di docenti e studenti internazionali (International Faculty Staff e International Students), premiano il Politecnico. È particolarmente rilevante il punteggio elevato ottenuto nell’indicatore inserito quest’anno International Research Network, che valuta il livello di collaborazione internazionale nella ricerca scientifica

Questi dati confermano gli ottimi risultati del Politecnico di Milano, che si posiziona tra le prime 20 università al mondo in Design, Architettura e Ingegneria, secondo la classifica delle migliori università per ambito disciplinare, il QS World University Rankings by Subject 2023 pubblicata lo scorso marzo. In Design e Architettura il Politecnico si classifica all’8° e 10° posto. Per quanto riguarda Ingegneria si posiziona nel top 20 mondiale, attestandosi in 18° posizione. 

“Questo importante posizionamento nel World University Ranking di QS rappresenta un traguardo significativo per il Politecnico di Milano, testimoniando il costante impegno dell’ateneo verso l’eccellenza accademica e la promozione della ricerca scientifica di livello internazionale – commenta Donatella Sciuto, Rettrice del Politecnico di Milano. L’attrattività internazionale è uno dei punti chiave del Piano Strategico triennale del Politecnico di Milano. Con un solido posizionamento già acquisito, ci impegniamo a offrire maggiori opportunità di studio e di ricerca per i giovani, ponendo particolare attenzione anche alla responsabilità sociale. Vogliamo promuovere un approccio inclusivo anche a livello internazionale, rendendo il nostro ateneo un ambiente accogliente per tutti coloro che desiderano intraprendere al Politecnico di Milano percorsi formativi e di ricerca di eccellenza”. 

RITESSERE: gli scarti della seta rinascono in nuovi materiali

Ha preso il via il progetto RITESSERE (Silk Sericin materials from textile industry by-products), finanziato da Fondazione Cariplo, che si propone di utilizzare il prodotto di scarto dal trattamento della seta grezza, la sericina, per la produzione di nuovi materiali e dispositivi in ambito delle scienze della vita.

RITESSERE valuterà nuove tecnologie che, partendo dalla sericina ottenuta da materia prima di origine italiana con certificazione di tracciabilità (il bozzolo o la seta grezza), porteranno ad ottenere sia matrici bidimensionali elettrofilate composte solamente da sericina, sia nuovi materiali a base di sericina specificamente modificata. Tali prodotti saranno caratterizzati dal punto di vista chimico-fisico e morfologico, e verrà analizzato l’impatto della loro introduzione nel mercato dell’industria tessile e in altri settori dall’alto valore tecnologico.

In particolare, verranno dimostrati i vantaggi dell’approccio circolare attraverso tre azioni dimostrative:

• maschere facciali a base di sericina per l’industria cosmetica

• scaffold tridimensionali di sericina per colture cellulari

• film a base di sericina modificata per l’industria del packaging.

RITESSERE vuole dimostrare come la sericina possa essere recuperata in modo sistematico e utilizzata per produrre materiali ad alto valore tecnologico. Partendo da seta di origine italiana, RITESSERE definirà e ottimizzerà un processo tecnologico volto a dare nobiltà a questo prodotto di scarto, proponendo un nuovo metodo sostenibile e circolare per il ciclo di produzione della seta.

I risultati del progetto saranno veicolati e messi a disposizione anche mediante una continua interazione con l’Advisory Board, composto da attori con un ruolo propulsivo in ambito dell’industria serica, nella definizione di nuove pratiche di economia circolare e nel coinvolgimento della società civile (Associazione Costruttori Italiani di Macchinario per l’Industria Tessile, Donne in Campo, Ufficio Italiano Seta, MADE-Competence Center Industria 4.0, Rigano Laboratories, Associazione per il Museo della Seta di Como).

Il progetto triennale RITESSERE è un progetto finanziato da Fondazione Cariplo con il programma Economia Circolare – Promuovere ricerca per un futuro sostenibile, ed è condotto dal professor Simone Vesentini del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria e dai professori Paolo Rosa e Sergio Terzi del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano.

Partner del progetto, coordinato dal nostro ateneo, sono Università degli studi di Milano Bicocca e Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.

Il MoMA di New York acquisisce tre progetti della designer italiana Federica Fragapane 

Federica Fragapane è una information designer indipendente. Nata a Vercelli nel 1988, si è laureata in Design della Comunicazione al Politecnico di Milano. Nel corso degli anni ha realizzato progetti per Google, le Nazioni Unite, l’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, BBC Science Focus e collabora periodicamente con La Lettura – Corriere della Sera. È coautrice dell’Atlante geopolitico dell’Acqua (Hoepli, 2019). 

Federica Fragapane

Ha tenuto lezioni come guest lecturer, tra gli altri, all’Università di Harvard — Design Lab e al Royal College of Art di Londra ed è stata ospite in qualità di speaker a TEDx Verona

A ottobre 2021 è stata premiata alle Serpentine Galleries con il Pierre Keller Award nel corso dello Hublot Design Prize. 

Le tre visualizzazioni – realizzate tra il 2019 e il 2021 – sono state acquisite dal Dipartimento di Architettura e Design del MoMA

Space Junk, data visualization pubblicata su BBC Science Focus nel 2019, racconta dei rifiuti che stiamo lasciando nello spazio: la visualizzazione mostra i detriti spaziali, classificati in base alla loro distanza dalla Terra e al tipo di oggetto. 

Noise Pollution, pubblicata su La Lettura nel 2020, mostra i dati relativi all’inquinamento acustico e alla perdita dell’udito in 50 diverse città.

Land Defenders è una visualizzazione di dati sugli attivisti ambientali uccisi in Brasile tra il 2015 e il 2019. Il progetto è stato realizzato per accompagnare un lavoro di inchiesta scritto da Yessenia Funes sulla morte del difensore ambientale Fernando dos Santos Araújo. È stata pubblicata nel 2021 dal magazine Atmos.

Space Junk. Credits: MoMA
Noise Pollution. Credits: MoMA
Land Defenders. Credits: MoMA

I progetti di Federica Fragapane sono volti a raccontare temi nella loro complessità e multidimensionalità, consentendone la lettura e l’esplorazione attraverso la realizzazione di visualizzazioni statiche e interattive. Nel corso degli anni ha visualizzato dati legati a tematiche ambientali, alla migrazione e ai diritti umani.

“Credo fortemente nel potenziale comunicativo della data visualization e cerco di usarlo per aiutare il racconto e la lettura di argomenti complessi.”  

Molti dei suoi lavori sono caratterizzati da un approccio sperimentale e da una ricerca continua di forme e linguaggi con cui dare forma a numeri e informazioni. Utilizza spesso elementi visivi morbidi, che richiamano mondi organici, per portare alla luce l’aspetto umano dietro ai dati

Crede inoltre che la visualizzazione di dati possa essere usata non solo per comunicare alle persone, ma anche per dar loro voce e per fornire uno strumento a chi non ha piattaforme. Nel 2016 ha realizzato il progetto The Stories Behind a Line, il racconto visivo dei viaggi di sei richiedenti asilo arrivati in Italia e ospiti di un centro di accoglienza. 

Federica Fragapane scrive: “I progetti acquisiti dal MoMA fanno parte del mio processo di ricerca di linguaggi visivi con cui comunicare numeri, informazioni e – soprattutto – storie. Dare una forma ai dati aiuta a leggerli e a comprenderli. Mi capita spesso di parlare di come per me disegnare visualizzazioni sia come scrivere. Scrivo con parole visive per raccontare temi che mi stanno a cuore, portare alla luce informazioni urgenti e poco conosciute o anche semplicemente per far scoprire qualcosa di nuovo ai lettori: sono questi i motivi che hanno guidato il processo progettuale dietro alle tre visualizzazioni che fanno ora parte della collezione del MoMA. 

La visualizzazione di dati per me non è il fine, ma è un mezzo il cui fine è comunicare e raccontare. La forma di tale mezzo è parte stessa del processo di comunicazione. Le parole che usiamo sono importanti e importanti sono per me le parole visive che disegno. Sperimentare visivamente, curare l’estetica e affiancare all’attenzione per i contenuti uno studio profondo delle forme utilizzate sono passaggi fondamentali del mio processo progettuale. Con il mio lavoro – e con le sue forme – cerco (e spero!) di invitare le persone ad avvicinarsi alle mie visualizzazioni e a leggere e scoprire dati e storie. 

Ringrazio di cuore le persone che fino a ora si sono avvicinate ai miei progetti e li hanno letti, ringrazio BBC Science Focus, La Lettura e Atmos per avermi dato lo spazio per sperimentare e comunicare e ringrazio il Museum of Modern Art per questo grandissimo onore.” 

 

Cosa sognano gli studenti del Poli

La competizione internazionale Cybathlon, a cui partecipa anche una squadra del Poli, prevede che persone con disabilità gareggino nello svolgere attività quotidiane utilizzando “assistive technologies” di ultima generazione. Si svolge ogni quattro anni ed è organizzata dall’ETH Zurigo. Il team Polimi partecipa alla disciplina FES bike (Functional Electrical Stimulation Bike), in cui un pilota con paraplegia completa gareggia utilizzando una carrozzina a tre ruote, tecnicamente chiamato trike passivo, attivato tramite uno stimolatore elettrico muscolare in grado di inviare impulsi coordinati attraverso elettrodi di superficie che inducono la contrazione dei muscoli paralizzati. Il gruppo di lavoro, composto da 6-10 studenti, si occupa di ottimizzazione della meccanica e della seduta del trike.  

La prossima edizione del torneo si terrà nel 2024. Nel frattempo ci sono però anche altre competizioni Fes Bike, tipo quella che si è svolta lo scorso anno a Lione: “A Lione abbiamo fatto 100 metri in 39 secondi e 500 metri in 4 minuti e 18 secondi. Siamo arrivati quarti su 7”, commenta la professoressa Emilia Ambrosini, del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, e coach della squadra. “Nel 2020 invece abbiamo fatto 860 metri in 8 minuti e ci siamo piazzati al settimo posto su 9. Certo, non un super piazzamento ma avevamo fatto poco allenamento”. 

A contare non è solo il podio, ci raccontano gli studenti della squadra: ma anche confrontarsi con un’esperienza come questa, che arricchisce sia dal punto di vista accademico che umano. “È stata l’esperienza accademica che mi ha entusiasmato di più tra tutte” ha detto Federico Cavallini, studente magistrale di ingegneria biomedica. “Rendersi conto che il proprio lavoro (benché una minima parte di un progetto ben più grande) aiuta persone e pazienti nelle loro difficoltà, per davvero, è stato ciò che mi ha segnato di più e mi ha fatto appassionare a questo mondo. E alla fine non posso nascondere la soddisfazione di vedere i piloti, persone con paraplegia, pedalare e muoversi in maniera indipendente con il trike su cui ho lavorato col mio gruppo”. 

Seppur esperienza di studio l’aspetto emotivo di sentirsi utile per una persona bisognosa è un aspetto centrale nel Cybathlon: “Essermi interfacciata direttamente con il paziente, aver capito le sue esigenze, mi ha aiutato ad ampliare il modo approcciarmi al problema”, ha fatto notare Rachele Mariotti, anche lei studentessa magistrale di ingegneria biomedica. “Penso che progetti di questo tipo arricchiscano molto gli studenti ed il loro percorso. E il fatto di aver coinvolto studenti da diverse ingegnerie, io ero in team con due studenti di meccanica, mi ha insegnato ad interfacciarmi con persone con background differenti e saper capire ed esaltare i punti di forza di ognuno”. Partecipare a queste competizioni è anche un banco di prova, una sorta di possibile lavoro vero da realizzare: “Ho deciso di partecipare alla competizione di Lione per vedere messi in pratica gli insegnamenti teorici che si apprendono durante il percorso accademico. Ho potuto toccare con mano la complessità che lo sviluppo di una FES-bike richiede. È stato quindi stimolante dal punto di vista del problem solving attraverso un approccio più concreto verso le soluzioni hardware e software con cui si entra a contatto durante la formazione accademica”. 

Alberto Sangiovanni Vincentelli

Un nuovo premio per il pioniere politecnico dell’informatica

Milanese di nascita, californiano di adozione (insegna all’Università della California, Berkeley) Alberto Sangiovanni Vincentelli, alumnus del Poli, è uno dei maggiori esperti al mondo nel campo dell’informatica. Limitare i suoi interessi e le sue conoscenze ad un unico campo, tuttavia, sarebbe un errore: è infatti un grande appassionato di filosofia, di letteratura e di economia. “Nella mia vita ho dovuto scegliere quali strade non intraprendere, più che quali prendere”, ci ha raccontato durante una lunga chiacchierata che abbiamo fatto tra l’Italia e la California.

L’ENNESIMO PREMIO: IL FRONTIERS OF KNOWLEDGE AWARDS DELLA BBVA FOUNDATION 

L’occasione dell’intervista è l’ennesimo riconoscimento ricevuto nel suo campo, il prestigioso premio della BBVA Foundation “Frontiers of Knowledge Award”: una sorta di premio alla carriera, simile al Nobel sia per la procedura che per il modo di comunicare la vittoria. “Mi hanno chiamato in piena notte!”, racconta Vincentelli. È un premio molto prestigioso che viene assegnato per otto settori diversi: la categoria di Vincentelli è Information and Communication Technologies (ICT).

AUTOMAZIONE DELLA PROGETTAZIONE ELETTRONICA: DI COSA SI TRATTA? 

Il motivo dell’assegnazione del riconoscimento è “aver trasformato radicalmente il design dei chip che alimentano i dispositivi elettronici attuali, dando vita alla moderna industria dei semiconduttori”. In che modo? Creando nuovi strumenti di automazione della progettazione elettronica (electronic design automation, EDA), ovvero ideando algoritmi e programmi in grado di ottimizzare la progettazione dei circuiti integrati (i cosiddetti chip).  

Entriamo nel dettaglio per capirne di più. “Nei chip ci sono molti elementi, chiamati transistor, che devono essere messi su una struttura planare”, spiega Vincentelli. “Questi transistor devono poi essere connessi tra loro attraverso dei fili elettrici, che portano ritardo: gli obiettivi, dunque, sono quelli di rendere le connessioni il più veloce possibili e di utilizzare il minor spazio per ospitare transistor e interconnessioni”. Una volta sistemati i transistor, bisogna assicurarsi che il chip funzioni. Per farlo esistono strumenti di simulazione, che vengono impiegati prima della fabbricazione: “Oggi li chiamiamo digital twins, modelli matematici che simulano digitalmente ciò che avverrà fisicamente per farci capire se il sistema funziona”, spiega Vincentelli. “La simulazione è stata una delle prime cose di cui mi sono occupato, nei primi anni ’70: ha consentito di velocizzare molto i progetti. La produzione automatica delle maschere fotolitografiche usate per indirizzare fasci di luce sul chip per creare connessioni e transistor è stata un altro passo miliare nello sviluppo della industria dei semiconduttori: agli albori di questa industria, nei primi anni 70, le maschere si ritagliavano a mano, ma con l’aumento esponenziale del numero di transistor, teorizzato dalla legge di Moore, già alla fine degli anni 70 non è stato fisicamente più possibile farlo. L’EDA ha consentito negli anni il passaggio da poche centinaia a miliardi di transistor presenti ora in un unico chip”. 

UNA VITA DI SUCCESSI 

Sono talmente tante le cose che il professor Vincentelli ha fatto nella sua vita, che non basterebbe un libro per elencarle tutte: la successiva ora di chiacchierata è un’immersione nel passato, tra fondazioni di aziende di EDA – come Cadence Design Systems e Synopyis, che insieme sono quotate al Nasdaq intorno a 120 miliardi di dollari −, collaborazioni con aziende automobilistiche del calibro di BMW, General Motors e Magneti Marelli, e successi universitari. Giovanissimo, all’età di 27 anni, con in mano un contratto da professore incaricato (equivalente al livello di associato di oggi) al Poli, si imbarca in una esperienza semestrale all’Università della California a Berkeley, incoraggiato dai colleghi anziani del Poli. Alla fine di questa esperienza arriva la richiesta di rimanere negli USA. Lui nicchia (a Milano avevo un ottimo contratto, la mia vita, i miei amici, spiega), ma a Berkeley non mollano, e dopo una richiesta ufficiale e la concessione del permesso da parte del Politecnico, riparte alla volta della California. E lì rimane. 

INNOVAZIONE TECNOLOGICHE DELL’ULTIMO ANNO 

Trovandoci di fronte a un guru dell’informatica, ne approfittiamo per chiedere quali siano le sue opinioni sulle ultime novità tecnologiche: “L’EDA è in continuo miglioramento, ma non c’è stato negli ultimi tempi uno sconvolgimento radicale nel campo: la cosa più innovativa degli ultimi anni  è la estensione degli algoritmi e dei metodi EDA ad altri campi, per esempio, la progettazione mirata di medicine”, spiega Vincentelli.  

Nel campo dell’utilizzo dei semiconduttori è in corso un trend che vede imprese che hanno impiegato chip comprati da imprese specializzate nella progettazione di semiconduttori quali Intel, buttarsi nell’avventura della progettazione di chip ottimizzati per i loro scopi. Apple è stata la prima ma Tesla ha veramente rivoluzionato il settore delle automobili con il loro progetto. In sostanza Tesla : “Ha preso di sorpresa tutti nel mondo automobilistico: la loro vettura è un sistema elettronico vestito da macchina. È questa, a mio parere, una delle più grandi innovazione degli ultimi tempi: il fatto che un’azienda automobilistica abbia progettato un chip”. Come a dire: che all’orizzonte ci sia una nuova rivoluzione non solo tecnologica, ma industriale, dove Amazon, Google, e Microsoft progettano i chip ottimizzati per server usati nel cloud? 

“Poi, certo, ci sarebbe l’intelligenza artificiale: ma non sono proprio un grande fan…”, confessa. Come mai? 

L’IMPERSCRUTABILITÀ DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE 

“Innanzitutto bisogna capire la differenza tra machine learning e intelligenza artificiale, che non sono termini equivalenti: il machine learning è una parte dell’intelligenza artificiale. È l’utilizzo di modelli matematici per approssimare, utilizzando una grande quantità di dati, il funzionamento di un sistema di cui non conosciamo il funzionamento o che è troppo complicato da descrivere. I parametri di questo modello che di solito prende la forma di rete neurale a molti livelli (deep learning), sono moltissimi e devono essere scelti in modo da minimizzare l’errore fatto con l’approssimazione (training). Questo processo è molto costoso in termini di calcolo (tra l’altro l’energia consumato per effettuarlo è molto elevata…) ed in più non ci consente di capire perché certe risposte vengono date. Ecco, a me questo non piace: io voglio capire!”. Ciò che “non va giù” a Vincentelli è il non riuscire a trovare il motivo per cui il machine learning dia determinate risposte: “Io devo andare a fondo del perché delle cose, e con un certo tipo di intelligenza artificiale non posso farlo”, spiega. “La introduzione dei grandi modelli di linguaggio (reti neurali immense utilizzate per sintetizzare e processare il linguaggio umano) ha fatto notizia dovunque. ChatGPT introdotta da OpenAI ha originato un dibattito a tutti i livelli. La capacità di interagire con uomini a livello di linguaggio naturale è in effetti una rivoluzione. Per altro, quando ChatGPT viene usata per rispondere a domande poste da un utente, risponde sulla base delle informazioni che sono presenti in rete. Data la dimensione del modello, è in grado di riassumere praticamente qualsiasi informazione in rete. Ma in rete si trovano informazioni errate (fake news), messaggi di odio razziale, testi contro le fasce svantaggiate, le donne e quindi c’è la possibilità reale che ChatGPT (o equivalenti) influenzi un grande numero di persone in modo negativo” Molti, inclusi i pionieri del machine learning quali Geoff Hinton, si sono espressi in modo molto preoccupato sul futuro utilizzo della tecnologia! E sulla presa di coscienza dell’intelligenza artificiale che ne pensa? Sarà possibile, in futuro, che faccia capolino una nuova “specie”, artificiale? “Non credo proprio: a volte abbiamo l’impressione che l’intelligenza artificiale capisca tutto e sia senziente, ma non può essere, è  pur sempre l’espressione di una macchina! l’abbiamo costruita noi”. 

LA LEZIONE PIÙ IMPORTANTE? CHE L’INGEGNERIA HA UN’ETICA DA SEGUIRE 

Quali sono gli insegnamenti più importanti che ha ricevuto nella sua carriera? “Il primo me lo diede un mio professore del Politecnico, Giuseppe Grandori, che insegnava scienze delle costruzioni: mi fece pensare all’etica dell’ingegneria. Ci spiegava che i calcoli fatti durante la costruzione di una struttura di ingegneria civile (almeno negli anni 60 quando frequentavo il Poli)  prendevano in considerazione perfino la possibilità di un crollo e ne valutavano il costo: tra una struttura economica che resisterà nell’80% e crollerà nel 20% dei casi in caso di un terremoto, uccidendo un certo numero di persone, e una più resistente ma più costosa che provocherebbe meno morti in caso di crollo, potrebbe essere scelta la prima nel caso in cui il costo complessivo considerando il pagamento di danni e le probabilità di crollo sia minore. E GPT per ricollegarsi al discorso di prima”.  

“Il secondo insegnamento lo appresi quando arrivai negli USA, dove un ingegnere viene considerato alla stregua di un tecnico a cui ci si rivolge in albergo per problemi di scarico del bagno… o per la conduzione dei un treno. in contrasto con Paesi come la Francia, il Giappone e l’Italia dove la professione di ingegnere è considerata ai vertici della scala sociale Non solo, nel mondo scientifico l’ingegneria veniva ben al di sotto di scienze “nobili” quali la fisica. Ma io ero e sono convinto che l’ingegneria sia una vera e propria scienza, a pari di tutte le altre! Questa convinzione mi deriva dalle mie letture di Sant’Agostino e Kant che parlavano del fatto che Dio o il “reale” è fuori dal concetto di tempo e spazio, che sono categorie umane. Anche noi ingegneri creiamo sistemi a partire da un’idea al di fuori del tempo e dello spazio, e solo in ultimo della nostra attività creativa ci troviamo ad affrontare il mondo fisico nelle sue dimensioni spazio temporali”. Sta dicendo che gli ingegneri sono Dio? “Beh almeno nella parte creativa del nostro lavoro!”, conferma ridendo Vincentelli. 

CONSIGLI, RIMPIANTI E RIMORSI 

Se potesse scegliere di essere l’inventore di una qualsiasi cosa, cosa le piacerebbe aver inventato (o progettato)? “Direi l’mRna, perché è una vera rivoluzione con impatti sociali immensi: ha un potenziale di curaincredibile , ora si parla addirittura di un possibile vaccino anticancro basato su mRNA. E anche la tecnica di editing genetico CRISPR-Cas-9, peraltro perfezionato nella mia Università perché ci permetterà in futuro di curare le malattie genetiche”. 

Qualche rimpianto? Qualche rimorso? “Di getto direi di no, mi è andato tutto troppo bene”, confessa Vincentelli. “I rimpianti riguardano più che altro delle porte che ho chiuso: mi sarebbe piaciuto fare filosofia all’Università, ma anche l’economista, il fisico e magari anche un po’ il letterato. Ci fu un’epoca in cui scrivevo poesie!”. “Rimorsi, solo uno: non essere stato abbastanza con la mia famiglia. Devo dire però che ho un ottimo rapporto come i miei due figli, che sento e vedo molto spesso, e mia moglie mi ha sempre sostenuto nei momenti difficili: non mi posso davvero lamentare”. 

Quante tazzine da caffè entrano in una piscina olimpionica?  

A cavallo tra Europa, Americhe, Oceania e Asia si incontrano gli studenti di fisica per sfidarsi a colpi di rompicapo sul campo dell’IPT, l’International Physicists Tournament, competizione di fisica sperimentale organizzata e gestita da studenti universitari. 

I problemi da risolvere sono pratici e difficili, divertenti e un po’ assurdi. Qualche esempio: 

– Costruire la più alta torre di mattoncini tipo “Lego”… Però attenzione: i mattoncini sono fatti di gelatina alimentare 

– Capire quando il miele è completamente sciolto nel tè caldo 

– Costruire con la carta dei modellini di semi dell’acero, che sono quelli che cadono con un volo a spirale grazie ad un’elica particolare 

– Ricreare l’aurora boreale in una palla di vetro 

– Mettere la grafite in un microonde e portarla alla temperatura giusta per farla illuminare 

– Costruire un accendino con le cose che aveva a disposizione un uomo dell’età del bronzo 

La squadra del Poli esiste da cinque anni grazie a uno studente francese in Erasmus a Milano. Come ha spiegato il professor Giacomo Ghiringhelli, del dipartimento di Fisica, è stato lo studente francese a introdurre il Poli a questa competizione. Del resto, questo torneo è nato in Francia. Al momento la squadra del Poli è l’unica italiana a prendere parte all’IPT. Il professor Ghiringhelli ci ha messo in contatto con tre studenti di 23 anni che hanno partecipato lo scorso anno: Sophie Cavallini, Luca Perego e Dario Ventura

I tre hanno spiegato come funziona la competizione: “Dura da ottobre fino alla primavera, ci sono varie fasi da superare. La finale di solito si disputa in una città diversa, l’anno scorso eravamo in Colombia, quest’anno è stata a Parigi dal 23 al 29 aprile” ha spiegato Sophie. La squadra in cui erano Luca, Sophie e Dario lo scorso anno è arrivata settima su 15 partecipanti nel mondo. Quest’anno la squadra del Politecnico è arrivata sesta: “Il miglior risultato di sempre” ha commentato il professor Ghiringhelli. C’è ancora strada da fare! 

Ogni competizione presenta una quindicina di problemi diversi, proposti dagli studenti stessi o da dei dottorandi. Ogni squadra ha circa 10-15 componenti. Le squadre hanno 10 minuti per presentare la soluzione al problema e un’ora per discuterne con la squadra avversaria, mentre una terza squadra (detta “reviewer”) monitora la situazione e decide sui conflitti, come una sorta di arbitro. Una commissione composta da dottorandi assegna i voti alle varie squadre. Le squadre all’inizio sono divise in due gironi, le migliori accedono alle semifinali e da lì le migliori due alla finale.  

A riassumere perché è un’esperienza da fare è stata un’ottima frase di Dario: “Stimolare il dibattito scientifico”. “Partecipare – ha aggiunto Luca – è utile anche perché si fanno cose pratiche e si impara a fare le presentazioni”. Ma cosa si vince? “Niente… cioè l’onore e la gloria! – ha detto ridendo Sophie –. Ma è una bellissima esperienza che ci permette di conoscere coetanei di tutto il mondo che hanno i nostri stessi interessi”. 

Gli studenti del Poli sono tra i migliori al mondo a progettare aeroplani

Alessandro Garatti e Riccardo Ferrari sono studenti del corso di Progetto di Velivoli, tenuto dal professor Lorenzo Trainelli, al Politecnico di Milano. Entrambi partecipano con le squadre del Poli a diverse competizioni internazionali di progettazione di velivoli: Garatti è stato capitano di Colibr-e – Progetto Sapphire e Ferrari è stato capitano di Poli-e Verse – Progetto Kairos. 

La squadra di Garatti ha ottenuto il 1° posto alla American Institute of Aeronautics and Astronautics (AIAA) Graduate Student Design Competion 2021-22. Questo era l’obiettivo: “Progetta un velivolo pilotato elettricamente e in grado di portare vaccini, medicine e scorte di cibo atterrando su piste di atterraggio sterrate in aree remote del mondo e in grado di essere ricaricato da pannelli solari”. La squadra di Ferrari ha ottenuto il 2° posto alla Royal Aeronautical Society (RAeS) International Light Aircraft Design Competition 2021-22, in risposta alla richiesta: “Progettare un aerotaxi ibrido-elettrico. L’entrata in servizio è prevista per il 2031. Deve avere 4 posti e minimo 300 miglia nautiche (oltre 550km) di autonomia”. 

Team Colibr-e
Team Pol-e Verse

Le squadre sono formate da un numero di membri che oscilla da un minimo di quattro a un massimo di otto, numero oltre il quale è poi difficile coordinarsi. “Si hanno a disposizione solo i requisiti tecnici – ha spiegato Ferrari – il nostro doveva essere un velivolo ultraleggero, cioè meno di 600 chili, completamente elettrico per portare medicinali in zona equatoriale. Un velivolo che si ricaricasse a terra con pannelli solari. Si trattava evidentemente di una sfida che prendeva le mosse dalla situazione post pandemica in atto”. 

“Il nostro progetto – ha invece detto Garatti – doveva essere un aerotaxi con atterraggio e decollo entro 300 piedi (100 metri, cioè pochissimo, ndr), che avesse una componente elettrica oltre al motore termico, per ridurne l’impatto ambientale”. 

“Si tratta – ha aggiunto Garatti – di un primo passo verso la Urban Air Mobility cioè la possibilità di spostare persone su tratte aeree a distanze medie ma senza l’uso di aeroporti. Teoricamente questo velivolo potrebbe atterrare anche su un campo da calcio”. 

Render progetto Sapphire

Colibr-e ha vinto la competizione internazionale AIAA. Il concorso si è svolto per via telematica e il premio è arrivato per posta: un assegno da 750 dollari. Poli-e Verse è invece arrivata seconda e anche in questo caso il concorso RAeS si è svolto via web: “Potevamo andare a Londra a ritirare un attestato di partecipazione, ma non abbiamo potuto” ha spiegato il capitano. Ma perché prendere parte a queste competizioni? “Sono progetti sfidanti, ci vuole inventiva e una solida conoscenza tecnico-scientifica” hanno spiegato i due capitani. E proprio la possibilità di cimentarsi nel progettare-un-aeroplano è la ragione principale per cui i due studenti e i loro colleghi hanno scelto questa competizione: “Forse è il motivo per cui mi sono iscritto al corso di Progetto di Velivoli – ha detto Garatti -, in altri insegnamenti non capita di progettare qualcosa di proprio”. “In più – ha aggiunto Ferrari – si tratta di una sfida internazionale e il lavoro che fai viene valutato da un team di esperti”. 

Render progetto Kairos

“In passato – ha concluso il professor Trainelli – sono anche stati depositati due brevetti del Politecnico, relativi a dei progetti realizzati da studenti. Nel 2019 è stato ideato un velivolo innovativo per l’addestramento dei piloti. Un velivolo che ha la caratteristica di funzionare sia come un monomotore, sia come un plurimotore. Nel 2016 invece è stato brevettato un velivolo con batterie strutturali, cioè il 60-70% delle componenti della cellula dell’aereo erano al contempo anche batterie per l’alimentazione elettrica”. 

PhD al Politecnico di Milano

Care Alumnae e Cari Alumni,

l’università è un luogo dove si ricerca la conoscenza, come motore di progresso positivo. Il Dottorato è l’ultimo gradino del percorso di preparazione dei giovani alla ricerca, e il Politecnico da anni investe molto su questo, con la sua Scuola di Dottorato (www.polimi.it/phd).

Forse non tutti di voi sanno che stiamo vivendo un periodo di forte promozione del dottorato qui in Italia: il governo ha infatti deciso di investire parte dei fondi del PNRR per finanziare 22.700 nuove borse di dottorato nel periodo 2022-24. Questa è una grande opportunità di crescita del contesto nazionale, considerando che attualmente nelle università italiane sono presenti complessivamente circa 30.000 dottorandi.

Questa iniziativa può essere anche un’occasione ulteriore di collaborazione tra il nostro Ateneo e i suoi Alumni. Tante sono le forme di collaborazione che si possono perseguire insieme:

  • le iscrizioni ai concorsi per l’ammissione ai  percorsi di Dottorato sono aperte a tutti: se siete interessati, iscrivetevi, e se conoscete qualcuno interessato, consigliategli di iscriversi (in particolare se siete attori protagonisti del mondo accademico, potete condividere l’opportunità del dottorato al Politecnico di Milano con i vostri studenti e la vostra rete di conoscenze);
  • è incentivato il cofinanziamento di borse di dottorato per sviluppare ricerche in collaborazione con il Politecnico di Milano, con permanenza del candidato in Azienda per almeno 6 mesi;
  • sono incentivate anche iniziative volte ad accogliere dottorandi nelle istituzioni della Pubblica Amministrazione, per svolgere attività di ricerca in collaborazione con il Politecnico di Milano.

Cogliamo dunque questa opportunità unica, di grande investimento di risorse, per costruire nuove iniziative di collaborazione e rinnovare quelle esistenti.

Chiunque volesse approfondire il tema o avere maggiori dettagli sull’iniziativa può scrivere a internationalphd@polimi.it.

Cari saluti,

Enrico Zio